Nicola D'Amore - Art Director, Motion Designer

The Journey of Content – La mia intervista a Mediastars

The Journey of Content “il viaggio del Messaggio”
La mia intervista a Mediastars :

Il viaggio del Messaggio: Dal brief in poi il messaggio vive diversi processi creativi che fanno in modo che una volta arrivato a destinazione, il viaggio non si fermi…

Senza titolo

Nicola D’Amore
Art Director / Motion Designer freelance
www.nicoladamore.com

Ricordo che uno dei primi esercizi, che facevo sin da studente, era quello di concentrarmi sul significato delle parole: prima di ogni brief e prima di attivare un processo creativo, aprivo il dizionario. Un’azione semplice ma fondamentale per schiarirmi le idee, per trovare uno spunto da cui partire. D’altronde, il brainstorming nasce   per creare “idee”. Non piani, ne progetti.

Partendo proprio dalle definizioni letterali, la parola viaggio è “l’andare da un luogo ad altro luogo, per lo più distante, per diporto o per necessità” ed il messaggio è “una notizia, un annuncio, che si trasmette ad altri a voce o per iscritto”. Nel mondo della comunicazione si parla molto di “messaggi e creatività”, ma qual è realmente il viaggio che permette ad un messaggio di arrivare a destinazione?

In fondo il vero viaggio che ognuno di noi affronta quotidianamente è prima di tutto un viaggio nella mente, perché quello è l’unico luogo in cui tutto è realmente possibile ed è proprio da lì che deve nascere il messaggio.

E’ evidente che nel nostro mondo, quello pubblicitario, la vera sfida quotidiana di un creativo è quella di saper creare un messaggio che sappia sì comunicare, ma soprattutto incuriosire, distinguersi ed imporsi, aldilà del mezzo che si sceglie (adv sui mezzi classici, video, social, ecc) e della tecnica che si utilizza. Capisci che un messaggio è arrivato a destinazione solo quando ti rendi conto che è capace di durare nel tempo. L’importante non è tanto la consapevolezza di saper esprimere la propria idea con un messaggio, quanto la certezza che tale idea, tale concetto, si sia resa comprensibile al grande pubblico. E’ in questo modo che tutte le parti coinvolte (mittente, destinatario, cliente) possono trarre beneficio dalla comunicazione.

Quale metodo deve perseguire il professionista per sviluppare un contenuto di valore che arrivi al destinatario del messaggio e che da lì riparta per prendere nuova vita?

Sicuramente viviamo in un mondo in cui la digitalizzazione ha saturato ogni mercato attraverso l’utilizzo smodato di immagini sempre più efficaci e coinvolgenti dal punto di vista estetico, ma che spesso e volentieri sono la causa implicita di una totale svalutazione del messaggio.

Nel mondo attuale, siamo sempre più schiavi di un sistema in cui il valore estetico di un messaggio viene sempre preferito al suo contenuto.

E’ come se si cercasse di pubblicizzare una scatola bellissima dimenticandosi del prodotto posto al suo interno, che è in realtà ciò per cui è stato fatto l’investimento pubblicitario.

Credo che il mondo dei social network abbia contribuito molto in tal senso: non passa giorno che, attraverso il proprio profilo social, non si cerchi di apparire per ciò che non si è. Si fa quasi a gara a dimostrare al mondo intero quanto la propria vita sia fantastica e migliore di quella degli altri. È ciò che, in parte, i professionisti del settore hanno fatto per anni, cercando di far apparire un prodotto migliore di quello che era in realtà, solo per battere la concorrenza di un diretto competitor.

Tornando alla domanda, credo che per nessun professionista esista un metodo scientifico che consenta di sviluppare un contenuto in grado di arrivare al destinatario e riprendere da lì nuova vita. Al contrario, credo che in questo lavoro, così come in molti altri, l’unica cosa che sappia dare un valore aggiunto al messaggio, sia la passione che il creativo riesce a trasmettere attraverso il messaggio stesso; messaggio che deve sempre sorprendere, emozionare e, più di tutto, coinvolgere il destinatario, perché sarà proprio lui a dare nuova vita al messaggio recepito grazie al consumo e alla sua condivisione con il resto degli utenti, o meglio… community. In breve, il valore aggiunto è l’empatia che il messaggio ha saputo suscitare nel destinatario.

Oggi in quale misura siamo disposti a seguire il content marketing di marca? I social favorendo la condivisione sono il canale ideale per ingaggiare l’utente?

Di sicuro i canali social ad oggi costituiscono un metodo importante e quasi imprescindibile per un Brand che voglia creare dialogo, interazione, fidelizzazione con gli utenti.

La cosa difficile è saper utilizzare la tecnologia che abbiamo a disposizione comunicando un determinato messaggio nel modo più adatto.

A seconda del media utilizzato bisogna essere consapevoli del tipo di utente che si va a contattare e diventa quindi fondamentale attrarre la sua attenzione nel più breve tempo possibile e renderlo partecipe dello scopo per cui viene chiamato a rispondere al messaggio veicolato.

Tempo fa, mentre lavoravo ad un progetto di comunicazione per un’emittente televisiva, ho fatto delle ricerche online consultando vari dati statistici e la cosa che più mi ha sorpreso è stata la vera rivoluzione dovuta all’avvento dei social network rispetto al numero di utenti raggiunti in un determinato periodo. Tanto per citare dei dati, per raggiungere 50.000.000 utenti, un mezzo come la radio ha impiegato ben 38 anni…per raggiungere lo stesso numero di utenti i social network hanno impiegato solo 9 mesi. Credo che dati come questi debbano far riflettere sulle vere potenzialità che la tecnologia ci ha messo a disposizione. Come sempre, l’intelligenza sta nel non abusare di tali mezzi e la bravura nel saperli indirizzare.

Ma più di tutto credo che la vera rivoluzione che i social network hanno portato nel mondo della comunicazione sia l’interazione! Finalmente l’utente non è più uno spettatore passivo che assiste inerme alla fruizione di un determinato messaggio, ma può esprimere il suo parere e talvolta partecipare attivamente al cambiamento del messaggio stesso.

Quali sono gli errori da non commettere in comunicazione?

Vorrei non cadere nel banale, ma credo che il miglior modo di non commettere errori sia proprio di farne molti per continuare a migliorare se stessi ed arricchire così la propria esperienza, prima come persona e successivamente come professionista. Senza errori non si ha la possibilità di imparare, di cambiare, ma soprattutto di migliorarsi.

Per citare Thomas Alva Edison: “l’esperienza è chiamata la somma di tutti i nostri errori”.
Molte delle scoperte, soprattutto scientifiche, sono figlie degli errori e di tanta sperimentazione, così come l’arte, la comunicazione e l’intero comparto pubblicitario.

Volendo stilare un decalogo degli errori, credo che tra quelli da non fare ci siano:
– Ignorare le richieste del cliente;
– Assecondare troppo le richieste del cliente;
– Non pianificare attentamente i vari aspetti del processo creativo;
– Non effettuare delle ricerche o indagini di mercato;
– Sottovalutare le esigenze dell’utente e soprattutto credere che sia passivo e che non interagisca con il messaggio pubblicitario;
– Offrire un prodotto di scarsa qualità solo per rispettare tempistiche e budget ridotti;
– Non avere una personalità ben definita come brand;
– Non avere una strategia di comunicazione;
– Promettere cose non vere, creando così una falsa aspettativa da parte dell’utente;
– Non distinguersi, omologarsi e rendersi quindi invisibile;

Non so se questi 10 punti sappiano essere un buon decalogo degli errori da non commettere in comunicazione, ma di certo sono da sempre i promemoria cui faccio riferimento ogni volta che mi avventuro in un nuovo progetto creativo.

Per quanto concerne l’ultima domanda non mi sento di poter giudicare nessun caso, ma di sicuro vorrei fare una piccola considerazione personale che fa riferimento in particolar modo al mio “decimo errore da non commettere” (non distinguersi, omologarsi e rendersi quindi invisibile).

Ricordo due campagne pubblicitarie di due note case automobilistiche. Senza fare nomi, entrambe a distanza solo di qualche anno l’una dall’altra, nei loro spot televisivi, non solo utilizzarono la stessa traccia audio come base, ma anche lo stesso identico concept e la stessa identica struttura narrativa. Ricordo ancora il mio stupore nel rendermi conto che quel nuovo spot non faceva parte di una rivisitazione della vecchia campagna pubblicitaria (che aveva saputo incuriosirmi ed emozionarmi anni prima) ma che si trattava invece di una nuova pubblicità ideata per una casa automobilistica diretta competitor.

Credo che in casi come questo ci sia veramente poco da imparare dai propri errori.

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