Nicola D'Amore - Art Director, Motion Designer

Consumer Playmaker – La mia intervista a Mediastars

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Consumer Playmaker : Nella delicata fase d’arrivo presso l’audience di riferimento, quali sono le condizioni che regolano la buona ricezione del messaggio? La mia intervista a Mediastars :

L’utente come percepisce la diversa tipologia di messaggi nell’affollamento quotidiano degli avvisi pubblicitari? Quale tipo di engagement risulterà maggiormente gradito?
Da anni, ormai, non si fa altro che parlare di rivoluzione digitale, di social network e, soprattutto, di personal branding. La verità è che gli smartphone hanno cambiato il modo in cui consumiamo e produciamo i mezzi di comunicazione, il modo in cui interagiamo con gli altri e, in definitiva, le nostre stesse vite. Fino a qualche tempo fa, la pubblicità (in senso lato) era solo per aziende, ma con l’avvento dei social network (grazie ai commenti, ai likes, ai retweet), tutto è cambiato: chiunque di noi cerca di investire sulla propria immagine e quindi creare il proprio engagement. La pubblicità tradizionale (televisione, radio, stampa), è stata letteralmente rivoluzionata e la quantità di stimoli pubblicitari alla quale siamo esposti quotidianamente è davvero immensa, a tal punto che diventa sempre più difficile essere catturati da un determinato messaggio.
L’engagement è sinonimo di coinvolgimento e misura il successo del messaggio condiviso con il pubblico. Lo scopo è creare legami forti tra il brand e i suoi fan, fino a convertirli in clienti, servendosi esclusivamente del mezzo di comunicazione più antico e potente a disposizione del marketing: il passaparola. Risulta evidente, quindi, che ogni attuale piano di comunicazione dovrà essere prima di tutto multipiattaforma, dovrà essere strutturato con una logica dinamica, flessibile, innovativa e rivolta ad un numero sempre maggiore di utenti, non sottovalutando mai la cosa più importante: il contenuto. Spesso non ci accorgiamo di quanto gli algoritmi stiano pilotando le nostre scelte attraverso l’utilizzo dei Big Data. Quale sarà Il futuro della comunicazione? Sarà esclusivamente Data Driven o c’è la possibilità di una svolta creativa Human Driven?
Sono anni che, nel mondo della comunicazione e del marketing strategico, si parla di Big Data, ma in modo del tutto oggettivo, ci siamo mai chiesti quante aziende possano realmente definirsi data driven? Negli ultimi anni siamo stati sottoposti ad una sovraesposizione di informazioni e questo ha contribuito a generare una quantità di dati che hanno permesso a molti brand di riflettere per conoscere, capire e provare ad applicare delle strategie di marketing in grado di prevedere risultati e comportamenti utili a generare consenso e, soprattutto, profitto.
L’utilizzo dei Big Data ha permesso, in maniera matematica, la raccolta di dati per analizzare determinati valori e valutare i trend. Sicuramente tali algoritmi sempre più complessi ed articolati, oltre a fornire delle previsioni, in un qualche modo influenzano le scelte e lo stile di vita del pubblico, ma per quanto riguarda la mia personalissima visione sul futuro della comunicazione, sono certo che nessun algoritmo, per quanto calcolato strategicamente, sarà mai in grado di sostituire la componente umana. A livello comunicativo, ciò che più ha valore è la capacità di trasmettere emozioni. Per questo motivo, credo che il futuro della comunicazione, anche se continuerà ad evolversi attraverso complessi tecnologici, non potrà mai fare a meno di potere e soprattutto di dovere contare sul fattore umano.
Ciò che non dobbiamo mai dimenticare è che la tecnologia è uno strumento in grado di facilitare il raggiungimento di determinati obiettivi, ma come la storia insegna, spetta solo a noi la decisione finale su quale sia l’utilizzo da farne. All’interno di un mercato sempre più esigente e competitivo, l’elemento cardine per le aziende resta la reputazione, attraverso la quale sono quotidianamente sotto esame da parte dei consumatori. La sostenibilità può aggiungere personalità al brand, suscitando un interesse più marcato nelle nuove generazioni?

È evidente che negli ultimi anni, grazie soprattutto alla diffusione dei social network, si sia creata la necessità per ogni brand di tutelare la propria reputazione, ovvero, quanto e come il nome di un prodotto o di un marchio possa essere conosciuto e apprezzato dal pubblico. Si introduce così il concetto di brand reputation, elemento centrale nelle strategie di comunicazione aziendale. È evidente che una reputazione positiva genera anche un consenso positivo nei confronti della marca ed il pubblico, che sostiene un determinato prodotto o brand, diventa portavoce volontario dell’azienda, raccomandando ad altri utenti (amici o parenti) una determinata marca o prodotto al proprio network, attivando così un passaparola positivo per il brand. Risulta evidente che per avere un impatto positivo sul consumatore, ad oggi, diventa ancor più di vitale importanza investire sulla qualità e sulla sostenibilità del prodotto. Diversi brand da anni hanno scelto di puntare forte sulla sostenibilità, cercando di limitare l’utilizzo di determinate sostanze ritenute più o meno dannose per l’ambiente e per l’uomo e ciò, a mio giudizio, oltre ad essere un principio sano ed imprescindibile, fa percepire al consumatore un intento di tutela nei suoi confronti che lo rende più soddisfatto nel procedere con l’acquisto.

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